-va bene così- disse lui
-non va bene così- dissi io
-sì, da adesso. Da adesso, va bene così –
-va bene così- disse lui
-non va bene così- dissi io
-sì, da adesso. Da adesso, va bene così –
Ballano i topi (…)
mentre aspetto che quei tempi parlino e mangino affamati viscere di corpi contratti.
E non puoi
( ri-cominciare )
Non così
Non oggi
No.
« Tu vai pazza per le parole, vero? Vero che vai pazza per le parole?. Mi dai l’idea di essere una che va pazza per le parole. Nel senso che le prendi terribilmente sul serio, tipo come se fossero un bisturi o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi »
D.F. Wallace
Insegnare che per ogni cosa o situazione c’è il cinquanta per cento di possibilità che possa andare bene e poi ancora narrare dell’esistenza del rovescio di quella medaglia, dove le cose vanno male è un bel precetto da portare avanti… ma quando in prima persona si è consapevoli del fatto che quel rovescio di medaglia porta alla fine dei giochi, beh, tirare le somme diventa inevitabile.
Un anno trascorso in mezzo a persone nuove, come se il carattere introverso non fosse mai esistito.
Un anno trascorso a tendere le labbra in un sorriso o in smorfie di rabbia perché nulla sembrava andare per il verso giusto: un anno trascorso a costringere il capo a non voltarsi indietro, senza contare i giorni che si avvicinavano alla fine. Quando un inizio prende piede, c’è sempre una fine pronta ad afferrarti, quando un percorso ha la strada spianata, presto o tardi il suo stesso traguardo si raggiuge e lì, la parola FINE è scritta sull’asfalto.
Una base d’appoggio calda, rovente, fatta di bambini e ragazzi ognuno diverso dall’altro, pronti a far ridere ed arrabbiare. Pronti a tendere silenziosamente la mano, senza domandare aiuto. Non per loro. Per te, per me che non avevo capito nulla di cosa fosse la vita se non un fiammifero acceso pronto a spegnersi in qualunque momento perché da soli non si può camminare lungo sentieri sterrati: prima o poi si inciampa. Lo avete insegnato voi: in compagnia tutto è possibile; anche il cambio di rotta su due piedi … senza pensarci. Osservare insieme un cartello e dire «Sì! Andiamo.»
E si va. Verso una nuova destinazione, scoprendo posti della nostra Terra che nessuno aveva mai visto, e lo stupore. Oh sì, la piacevolezza dello stupore che apprezza ciò che il panorama comune ha da offrire. Inebriante emozione.
Ecco, questo il sentiero: lungo un anno, dodici mesi di brezza autunnale, quando tutto è cominciato, in conoscenza reciproca e simpatia che man mano andava solidificandosi, e mano nella mano abbiamo superato il confine dell’inverno tra auguri di buone feste e prelibatezze succulente scherzando su quanto, nelle vacanze, si ingrassi con consapevolezza e fierezza. Poi è arrivata la primavera, a piccoli passi è tornato il sole, e con esso anche la voglia di proseguire la strada per raggiungere la nostra destinazione: una estate insieme, sviando per luoghi già visti e altri tutti da scoprire, fino al fatidico traguardo, dove le mani strette tra loro si allentano e gli abbracci prendono il sopravvento. Dove l’«addio» dovrebbe essere soltanto un «arrivederci.»
E’ ninna nanna appassionata e ridondante. E’ ninna nanna che si ripete nella testa e che da un anno non se ne va. E allora conosco la strada, andrò via quando ti sarai addormentata. Così ha avuto inizio qualcosa che mi faceva paura, qualcosa che mi spaventava a morte ma che in realtà cullava. E’ la mia dolce ninna nanna, è il suono della voce di chi non deve andare via; mi cullo qui, silenziosa e protetta … mi cullo qui, bambina, sapendo del mio posto al tuo fianco. E allora so del mio posto al tuo fianco anche quando, Amore, ti sarai addormentato.
«Sai, ho letto questo: “sapere che esisti mi libera dal peso di essere me stesso e mi fa venire in mente progetti nuovi e sconosciuti. So che sono responsabile di quello che sarà di te e che questo è un mondo del cazzo per crescere, ma per quanto ne sappiamo è anche l’unico dove le api ronzano e i passeri ridono.”
E se un po’ ti conosco, sono pronta a scommettere che pungoleresti sul mio essere volgare: questa volta ti dico che non è colpa mia. E’ dell’autore, seppure combaci perfettamente con il mio pensiero. So anche che ti lamenteresti per il fatto che non sono passata a trovarti; so che lo faresti se avessi voce tra queste righe. Beh, ce l’hai. Un po’ come una musica in sottofondo quando qualcuno scrive o quando una pellicola al cinema sta per iniziare. Mi piace pensarti così: come la mia colonna sonora, perché una voce più bella non l’ho mai sentita. Non l’ho dimenticata sai? Può sembrare così, ma il non parlare di te, il tentativo disumano di non pensarti, è il solo modo che ho per non cadere a terra, piccolo. Lo sforzo enorme di non ricordare il nostro anniversario, non vuol dire averti cancellato: vuol dire sopravvivere. E ci sto provando, a sopravvivere in questo mare di facce, in questa onda prepotente di gente che parla e non dice mai nulla, sto cercando in tutti i modi di stare in piedi, nonostante le ossa cigolino e le gambe facciano male. E se ti conosco almeno un po’, in questo momento ti accovacceresti sul pavimento freddo e chiederesti carezze. Carezze anche piccole, che ti farei. Che ti faccio, ad occhi chiusi immaginando di essere altrove e non qui. E ti sfioro ancora, con la punta delle dita per non farti male, ascoltando il tuo respiro ed il battito del tuo cuore che coincide con il mio.
«Un bacio.» mormoreresti nel silenzio della camera «Vuoi un bacio.»
E ti direi di sì: sì, che vorrei un bacio da te, scherzando sul non sfiorarmi le labbra. Perché era sbagliato, in quel momento. Era un errore, ma se tornassi indietro, amore mio, ti porterei via da lì. Chissà, magari le cose sarebbero andate diversamente. Non si poteva prima.
«Un bacio.» ripeteresti, ed io per altre mille volte ancora ti direi che sì, era la sola cosa che avrei voluto, ed è la sola che vorrei ancora una volta: respirare del tuo profumo di bambino, ragazzo chiuso nella prigionia di una vita che non è mai stata tua. Ma tornerò, mantenendo lentamente ogni mia singola promessa, ti scriverò e parlerò con l’animo disturbato ed il cuore a pezzi. Chissà, forse ha ragione quell’autore: “da qualche parte ho scritto che gli uomini sono immortali fino a quando non hanno dei figli. Avevo ragione. Da quando ho saputo che ci sei, ogni secondo conta. Non chiedo molto, solo di essere qui quando arriverai e di non andarmene fino a che non sarai al sicuro.”»
Cit. Efraim Medina Reyes.
Eppure alla fine la decisione è stata presa, ed io continuo a non trovare il coraggio di dire alcune cose, guardando la persona interessata negli occhi. E’ più forte di me, forse non riesco a fare tutto questo perché ho paura di perdere quella corazza che lentamente sta sgretolandosi, ma che nervosamente voglio sempre tenere con me, per non lasciarmi andare fino in fondo. Per paura di precipitare nel vuoto, un’altra volta, senza più barriere erette per proteggermi dai graffi e dal dolore. Forse lo faccio perché inconsciamente so benissimo che le cose andranno bene e che tutto quello di cui ho bisogno è stato racchiuso in quattro giorni, all’interno di uno scrigno chiamato Parigi. Un nome, un programma: certo. Come potrebbe non esserlo una città come Parigi, la capitale di Francia, la città dell’arte, la città fatta di vie così piccole ed intricate che stringono in gola sino a far mancare il fiato, con il solo scopo di far innamorare. Scrivo quindi, un po’ per codardia, un po’ perché è la sola cosa che credo – perdonate il peccato di modestia – saper far meglio. Non ricordo il giorno in cui ho realizzato di amare questa città così tanto da perdere la testa; ma non ho perso solo la testa, per Lei ho perso il cuore. Ho, come Dorian Gray, venduto la mia anima al Diavolo, considerando le sue finestre, i suoi monumenti, i suoi odori, la casa dei sogni. La dimora alla quale fare ritorno, giurandole fedeltà assoluta. E’ un continuo rinnovamento della promessa, il mio mettere piede in Lei, guardandola dal basso della mia persona, sorridendo ogni volta che percepisco la mia presenza, nel mezzo del suo centro. L’amo dall’inizio, l’amo da sempre. Come se Lei avesse scelto per entrambi, come se fosse il nostro destino … quello di esistere l’una per l’altra e la sensazione di casa, di sentirmi al sicuro, è stato qualcosa di corrosivo: piacevolmente si intende. Con questo viaggio, sì – proprio a te parlo – ho preso la mia decisione. Sempre ignara e stupida bambina che pensa troppo, sebbene l’istinto sia la sola voce che ascolto dal mattino alla sera. Ho camminato, con te al mio fianco, per le strade della mia città, a mente sgombra, come se in quegli attimi ci fossimo solo noi due, senza terzi in comodo. E so, che forse, magari perché si è agli inizi di tutta questa nuova avventura, qualche scomoda presenza ancora aleggerà intorno, ma non importa. Ecco, non mi importa di niente, non mi importa di nessuno. In regalo, per un percorso difficile pieno di ostacoli, ho ricevuto il sogno più grande, la possibilità di toccare la città dei sogni, realizzando che esiste, che io sono Lei e Lei è me, in qualche modo bizzarro … e ancora Tu, che non hai idea della pace che mi hai donato, grazie per aver fatto in modo che tutti i miei desideri diventassero realtà. Ma ancora c’è il sentirsi come una bambina spaesata, come se tutto fosse rosa e fiori, e nel ricordo di quei giorni, oramai passati, seppur presenti, chiedo di perdonarmi – sì, perdonatemi – se per questa notte gioisco e sorrido ancora, al pensiero di aver stretto in cuore la mia Parigi, a mezzanotte.