Nymphetamine

cold blood in icy veins

Tag: dreams

Rebirth.

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E’ ninna nanna appassionata e ridondante. E’ ninna nanna che si ripete nella testa e che da un anno non se ne va. E allora conosco la strada, andrò via quando ti sarai addormentata. Così ha avuto inizio qualcosa che mi faceva paura, qualcosa che mi spaventava a morte ma che in realtà cullava. E’ la mia dolce ninna nanna, è il suono della voce di chi non deve andare via; mi cullo qui, silenziosa e protetta … mi cullo qui, bambina, sapendo del mio posto al tuo fianco. E allora so del mio posto al tuo fianco anche quando, Amore, ti sarai addormentato.

Consciousness.

«Sai, ho letto questo: “sapere che esisti mi libera dal peso di essere me stesso e mi fa venire in mente progetti nuovi e sconosciuti. So che sono responsabile di quello che sarà di te e che questo è un mondo del cazzo per crescere, ma per quanto ne sappiamo è anche l’unico dove le api ronzano e i passeri ridono.

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E se un po’ ti conosco, sono pronta a scommettere che pungoleresti sul mio essere volgare: questa volta ti dico che non è colpa mia. E’ dell’autore, seppure combaci perfettamente con il mio pensiero. So anche che ti lamenteresti per il fatto che non sono passata a trovarti; so che lo faresti se avessi voce tra queste righe. Beh, ce l’hai. Un po’ come una musica in sottofondo quando qualcuno scrive o quando una pellicola al cinema sta per iniziare. Mi piace pensarti così: come la mia colonna sonora, perché una voce più bella non l’ho mai sentita. Non l’ho dimenticata sai? Può sembrare così, ma il non parlare di te, il tentativo disumano di non pensarti, è il solo modo che ho per non cadere a terra, piccolo. Lo sforzo enorme di non ricordare il nostro anniversario, non vuol dire averti cancellato: vuol dire sopravvivere. E ci sto provando, a sopravvivere in questo mare di facce, in questa onda prepotente di gente che parla e non dice mai nulla, sto cercando in tutti i modi di stare in piedi, nonostante le ossa cigolino e le gambe facciano male. E se ti conosco almeno un po’, in questo momento ti accovacceresti sul pavimento freddo e chiederesti carezze. Carezze anche piccole, che ti farei. Che ti faccio, ad occhi chiusi immaginando di essere altrove e non qui. E ti sfioro ancora, con la punta delle dita per non farti male, ascoltando il tuo respiro ed il battito del tuo cuore che coincide con il mio.
«Un bacio.» mormoreresti nel silenzio della camera «Vuoi un bacio.»
E ti direi di sì: sì, che vorrei un bacio da te, scherzando sul non sfiorarmi le labbra. Perché era sbagliato, in quel momento. Era un errore, ma se tornassi indietro, amore mio, ti porterei via da lì. Chissà, magari le cose sarebbero andate diversamente. Non si poteva prima.
«Un bacio.» ripeteresti, ed io per altre mille volte ancora ti direi che sì, era la sola cosa che avrei voluto, ed è la sola che vorrei ancora una volta: respirare del tuo profumo di bambino, ragazzo chiuso nella prigionia di una vita che non è mai stata tua. Ma tornerò, mantenendo lentamente ogni mia singola promessa, ti scriverò e parlerò con l’animo disturbato ed il cuore a pezzi. Chissà, forse ha ragione quell’autore: “da qualche parte ho scritto che gli uomini sono immortali fino a quando non hanno dei figli. Avevo ragione. Da quando ho saputo che ci sei, ogni secondo conta. Non chiedo molto, solo di essere qui quando arriverai e di non andarmene fino a che non sarai al sicuro.”»

Cit. Efraim Medina Reyes.

Midnight in Paris.

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WP_20150403_080 Eppure alla fine la decisione è stata presa, ed io continuo a non trovare il coraggio di dire alcune cose, guardando la persona interessata negli occhi. E’ più forte di me, forse non riesco a fare tutto questo perché ho paura di perdere quella corazza che lentamente sta sgretolandosi, ma che nervosamente voglio sempre tenere con me, per non lasciarmi andare fino in fondo. Per paura di precipitare nel vuoto, un’altra volta, senza più barriere erette per proteggermi dai graffi e dal dolore. Forse lo faccio perché inconsciamente so benissimo che le cose andranno bene e che tutto quello di cui ho bisogno è stato racchiuso in quattro giorni, all’interno di uno scrigno chiamato Parigi. Un nome, un programma: certo. Come potrebbe non esserlo una città come Parigi, la capitale di Francia, la città dell’arte, la città fatta di vie così piccole ed intricate che stringono in gola sino a far mancare il fiato, con il solo scopo di far innamorare. Scrivo quindi, un po’ per codardia, un po’ perché è la sola cosa che credo – perdonate il peccato di modestia – saper far meglio. Non ricordo il giorno in cui ho realizzato di amare questa città così tanto da perdere la testa; ma non ho perso solo la testa, per Lei ho perso il cuore. Ho, come Dorian Gray, venduto la mia anima al Diavolo, considerando le sue finestre, i suoi monumenti, i suoi odori, la casa dei sogni. La dimora alla quale fare ritorno, giurandole fedeltà assoluta. E’ un continuo rinnovamento della promessa, il mio mettere piede in Lei, guardandola dal basso della mia persona, sorridendo ogni volta che percepisco la mia presenza, nel mezzo del suo centro. L’amo dall’inizio, l’amo da sempre. Come se Lei avesse scelto per entrambi, come se fosse il nostro destino … quello di esistere l’una per l’altra e la sensazione di casa, di sentirmi al sicuro, è stato qualcosa di corrosivo: piacevolmente si intende. Con questo viaggio, sì – proprio a te parlo – ho preso la mia decisione. Sempre ignara e stupida bambina che pensa troppo, sebbene l’istinto sia la sola voce che ascolto dal mattino alla sera. Ho camminato, con te al mio fianco, per le strade della mia città, a mente sgombra, come se in quegli attimi ci fossimo solo noi due, senza terzi in comodo. E so, che forse, magari perché si è agli inizi di tutta questa nuova avventura, qualche scomoda presenza ancora aleggerà intorno, ma non importa. Ecco, non mi importa di niente, non mi importa di nessuno. In regalo, per un percorso difficile pieno di ostacoli, ho ricevuto il sogno più grande, la possibilità di toccare la città dei sogni, realizzando che esiste, che io sono Lei e Lei è me, in qualche modo bizzarro … e ancora Tu, che non hai idea della pace che mi hai donato, grazie per aver fatto in modo che tutti i miei desideri diventassero realtà. Ma ancora c’è il sentirsi come una bambina spaesata, come se tutto fosse rosa e fiori, e nel ricordo di quei giorni, oramai passati, seppur presenti, chiedo di perdonarmi – sì, perdonatemi – se per questa notte gioisco e sorrido ancora, al pensiero di aver stretto in cuore la mia Parigi, a mezzanotte.

Anonymous.

E dopo tanto tempo, eccomi qui. Nuovamente seduta e non proprio comoda, davanti lo schermo di un computer a scrivere del tutto e del niente. Sono successe molte cose e tutte queste cose insieme hanno girato intorno alla sottoscritta come un tornado, senza darmi il tempo di respirare. Non so nemmeno perché sto scrivendo di questo, ma ne sento la necessità. Come se lo scrivere, nero su bianco, fosse il mio solo modo di urlare. Vorrei tanto farlo. Uscire di casa, correre fino alla cima di una collina o semplicemente in un posto isolato, e urlare. Incamerare tutta l’aria che i miei polmoni possono contenere e far sì che tutto ciò che ho dentro esca. Solo un grido, ma chiaro. Limpido a me, che di chiarezza ne ho davvero poca. In ordine, come se ci potesse essere ordine, nella mente confusionaria di una strizzacervelli con la laurea in mano, che non fa altro che scrivere o desiderare di farlo. Ma sono la prima ad avere difficoltà nell’ultimo periodo, come se il pensiero di stendere su un foglio di carta le parole, queste diventassero lo specchio personale di una coscienza che non accenna al silenzio. E Lei parla, dice tante cose in troppi giorni e in pochissimo tempo; Lei sussurra di cose che preferirei non sentire, ma solo perché la realtà fa più male dei sogni. Per un attimo ho ripreso a sorridere. Per un attimo ho sorriso serena il giorno in cui ho portato a termine un corso di studi che di soddisfazioni non me ne dava più. Ho sorriso perché ho realizzato, alla sera, lontano da tutto e tutti, che ho mantenuto la promessa.

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Ho mantenuto la promessa che ti avevo fatto quel giorno, ricordi? Avevo detto che avrei studiato per te, che qualunque cosa fosse successa, avrei studiato per capire cosa ti affligge tanto, e che in un modo o nell’altro da te sarei tornata. E torno ogni volta, anche se non ti parlo con la frequenza di tanto tempo fa, non ho dimenticato. Come poter dimenticare il regalo più bello che mi sia mai stato fatto. Volevo scappare, ricordo, da quel posto che per te è sempre stata una casa; avevo giurato a me stessa che non avrei mai e poi mai messo piede lì dentro, ancora una volta: e invece mi ritrovo più a pentirmi di quelle stesse parole, perché darei qualunque cosa per rivederti almeno una volta ancora, per guardarti negli occhi e dirti che sì, ce l’abbiamo fatta. Insieme, siamo arrivati ad uno dei tanti traguardi che supereremo insieme. E vorrei essere lì, per dirti che verrai con me per le strade di Parigi, in giorni di festa. E vorrei essere lì con te, per chiederti perdono, se nonostante la gioia di quest’attimo, io senta le forze mancare e la stanchezza di dovermi rialzare ogni volta. Perché forse di essere felice non mi è concesso, come se venissi punita per aver osato sorridere o addirittura credere di poter aver raggiunto una certa tranquillità. Forse non è così che deve andare. Forse non merito di stare in piedi, a testa alta, tra studio e lavoro, tra amore e amicizia. Forse non merito tutto questo. Ma tu sì, meriti di sapere che al di là dei miei errori, al di là dei miei fallimenti e le continue mortificazioni, tu meriti di sapere che c’è una donna che ti ama più di chiunque altro abbia mai amato. Meriti di sapere che camminerò su questo sentiero sempre, senza voltarmi indietro, per andare avanti, assieme a te piccolo uomo, mano nella mano… consapevole del fatto, che Qui siamo solo noi, un caleidoscopio di eterne emozioni.

Different aromas make you feel differently.

 (©  noxarcana666)

E tenere tutto dentro
il dolore di un passato che non se ne va
accovacciare il torpore
la ferita che per anni ha formato cicatrici
madre sanguinante di tagli fioriti
tra viscere che respirano
tornate alla vita
tra uomo e donna
di mai amante e mai amato
e porto dentro quel male
quella pulsione furiosa mai silente
tacita presenza sempre accesa
fiamma che brucia divampante calore
e porto con me quel male
ombra guardinga che lancinante mi obbliga a non cedere
a non unire corpi di adulti profili
in gambe intrecciate
strisciando invece
nel silenzio di gemiti sospinti.

Se c’è il bene allora c’è il male. Se c’è Dio, c’è Satana. E se c’è luce, allora da qualche parte, c’è il buio. L’oscurità nuda e cruda, rivestita del manto della maledizione. Credo ai mostri, alle maledizioni. Credo ai demoni. Al male che l’uomo fa all’altro, senza rendersene conto. Credo nella morte dell’anima, pur restando ferma nella ricerca della perfezione: del tutto e del niente. Credo in me, fredda e muta. Credo negli altri: figure di angeli, figure di demoni. Non scrivo. Non scrivo veramente da un po’ di tempo e quasi provo paura nei confronti del foglio bianco. Sia esso di carta, sia esso virtuale. Non so perché, non so spiegarne il motivo, ma ho paura del suo silenzio, della profondità  nonostante il colore accogliente che emana. Mi fa paura il bianco, una tonalità così cristallina da spaventare: paralizza il suo candore. Come spaventa il buio. L’insonnia che non se ne va e i pensieri ritornano, anche quando credevo di averli allontanati del tutto. E ci sono riuscita, per un mese quasi – tre settimane – a non pensare, a condurre la quotidianità come se tutto fosse normale e niente fosse mai successo. C’ero riuscita, a riportare un po’ di sano equilibrio in questo vagabondare per strade che paiono essere i sentieri della mia fottuta vita. Cammino, gattonando. Gattonando cammino perché sento ancora dolore alle ginocchia. Scricchiolano le ossa, scricchiolano al tatto con l’asfalto ruvido, che gratta e ferisce. Pelle sbucciata e che ancora sanguina. Appena, ma non accenna a cicatrizzare. Ti guardo e la tua indifferenza non ferisce più; ciò che resta è l’abitudine. Fecondata giorno per giorno a cominciare dal tuo chinare il capo, per allontanarti. Un bacio, pensando di essere brutta. Di avere qualcosa che non va. Ti guardo e la tua indifferenza non ferisce più. Ciò che resta è la rassegnazione, di un corpo ed una mente che prima bramavi e che ora rinneghi come fossero malattia inguaribile. Ti guardo e la tua indifferenza non ferisce più. Resto qui, hai la mia parola. Ferma, senza più far nulla. Non temere le mie parole, resto qui. In trappola, vestita di abiti insolenti, odiosi desideri, incastrata nel vuoto che hai lasciato, infetta di quell’ amore che non riesco a combattere.

No matter how many deaths that I die I will never forget

E ti chiedo un’ultima volta, scusa. Per essere quel tipo di donna che non ha mai detto ti amo.  Ti chiedo scusa, per essere quel tipo di donna che chiude a chiave la porta, arrendevole ed egoista, pur di non cadere ancora. Per essere quel tipo di donna, che vede nell’orgasmo reciproco la dichiarazione d’amore perfetta.

I felt it. Perfect. It was perfect.

Poi arriva un momento in cui ci si siede a riflettere e ci si domanda cosa si è fatto per tutto il tempo chiamato vita. E quando arriva questo momento, la mente fa i suoi passi indietro e saltella qua e là tra ricordi che non verranno mai cancellati e allora parte un sospiro. Sì, quel sospiro doveroso dell’animo turbato che non sa dove andare. E se anche conoscesse la strada, l’animo solo mantiene la sua malinconia. Ecco, arrivata a questo momento, mi siedo e rifletto sulle volte che ho chiesto qualcosa. A me stessa o a qualcun altro. Non ho mai chiesto nulla: mai direi mai, certo, ma per davvero dalle mie labbra non è uscita una qualche richiesta che fosse un favore per la mia persona. Poi arriva quel momento, quell’attimo fatidico in cui gli occhi restano aperti al vuoto e fissano un punto indefinito tutto intorno, mentre la testa si chiede cosa c’è che non va. Tutto non va, ogni cosa gira al contrario. In solitudine o compagnia, nel silenzio accompagnatore, ogni cosa gira al contrario e non va come deve andare. Chiudere il mondo fuori, per non essere feriti. Colpiti a morte, nella consapevolezza che non si può vivere in eterno. Nella certezza che prima o poi si cade, si perde. Poi arriva il momento della resa, in cui tutto va a rotoli e le conquiste fatte perdono valore davanti l’arrendevolezza dei fatti. Perde valore ogni parola, ogni sensazione. Ogni sentimento. untitled_by_catherine_di_d5vjam6_by_sylvia_crystal-d5vjuzl Non puoi trattenerti per sempre. Pensavo di riuscirci (sbagliando), pur consapevole del fatto che il peggior delitto sia fingere. Morto dentro ma vivo fuori. Sorridente in viso con lo sguardo che non ha più lacrime. Ed il solo rumore presente, assordante frastuono, è il battito del cuore che preme un ultimo colpo. Né in amicizia, né in amore egoismo, eppure l’Istante sembra essere giunto al capolinea. Ed il suo rumore, assordante frastuono, è il battito del cuore che preme un ultimo colpo; ed il suo rumore è il suono sgranato di una voce muta, il canto del cigno di un ti amo nascosto e reale, che non ho mai preteso di sentire.

November rain.

Ma è proprio questo il suo significato. Il dolore che provo al petto, tachicardia persistente. Ma è proprio questo il suono che sento. La tua voce che scompare, il tuo profumo affievolito. Ma è proprio questo il suo significato: abituarmi all’idea che tu non ci sia, e non è una idea, è la realtà. Ma è proprio questo il suo significato, il dolore che provo al petto. Lo stai facendo, e ho paura. Lo stai facendo, e mentre io resto qui a grattare via un amore che non volevo e amo, tu sbiadisci. Stai scomparendo e non voglio che tu lo faccia.

Fuck it all, I came from nothing.

( you can’t last forever )

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Brindo al colore blu, in questa giornata fredda di fine ottobre. Brindo al colore che fa sentire a casa, a quella sfumatura colorata che trasmette pace e che non mente. No. Gli occhi azzurri non mentono mai. Non ne sono capaci. Brindo al color cioccolato, in questa fredda giornata di fine ottobre. Brindo al colore che fa male, a quella sfumatura golosa che si scaglia tra organi convulsi e che mente ogni giorno. Gli occhi color cioccolato hanno imparato ad amare, in qualche modo, lo hanno fatto e mentono, continuano a farlo nel silenzio di gesti che si possono vedere e non sentire. Brindo alle piccole vittorie, a quei sorrisi strappati da perfetti sconosciuti e brindo all’obiettivo in persona che ha portato la mia strada sulla retta via. Brindo ai miei errori. Al fallimento più grande ora che è lontano. Brindo a quel noi che vive e respira di illusione; alzo il calice invisibile dell’amarezza, rabbiosa. Non parli e fai tutto ciò che ti avevo detto di fare perché fiduciosa nelle tue capacità, mentre riponevo nel tuo cuore una parte del mio cuore. In te ho riposto non solo un lato, ma tutta la mia persona, chiedendoti riparo da sbagli e delusioni. Chiedendoti sostegno da conquiste e felicità.  Brindo agli occhi stanchi e non più aridi, alle lacrime salate bevute e non più trattenute per il risentimento, per le scuse che in ginocchio porgo nonostante tutto, sebbene non sia mai stata colpa mia, brindo al perdono che ti chiedo, da sola e in silenzio, guardandoti in foto con un sorriso. Brindo al mio chiederti scusa, se ancora oggi in un cumulo di difetti e indifferenza, resti il mio più grande orgoglio.

Segreta eros.

Dell’alito fresco ne sento il profumo come se lo conoscessi e lo conosco l’alito della voce feroce e voluttuosa che parla e tace e parla di nuovo senza sosta come una macchina in corsa: un rombo nella silenziosa notte; dell’odore pungente ne sento la presenza sulla pelle mai andato via e lo conosco l’odore del corpo a memoria tra solchi di una morta mente che pensa e si spegne nel mezzo di ricordi a senso unico.Lo riconosco e l’afferro guardinga, nel desiderio funesto mentre tutto (non) accade e il tuo odore fa male al cuore.